Alla ricerca della felicità, alla ricerca di me…

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Dovrei essere felice, ma non è così…”

Non riesco ad essere contento/a, e non so perché

Ho tutto per essere felice, eppure …

Queste sono solo alcune delle sensazioni che le persone possono raccontare quando si rivolgono ad uno psicologo. Talvolta capita che questo racconto sia accompagnato da altri vissuti, altrettanto difficili, come il senso di colpa: che è sbagliato non apprezzare ciò che si ha, quasi come se si stesse mancando di rispetto a qualcuno. Altri vanno oltre, sentendo di essere delle persone ingrate per il fatto di provare questi sentimenti.

Superare questo primo scoglio del giudizio negativo verso di Sé non è per niente facile. Dobbiamo combattere spesso con il nostro passato, con l’educazione ricevuta, con l’esperienza di vita che abbiamo trascorso e con le scelte fatte, apprezzate, rimpiante, o deludenti che siano state.

Il nostro passato non può essere cambiato, ma possiamo cercare di venirci a patti, inquadrandolo sotto una nuova luce, non più (o non solo) giudicante, svalutante e colpevolizzante, ma (anche) comprensiva, compassionevole, accogliente, utile a farne tesoro e andare avanti, rafforzati da una nuova consapevolezza su di Sé, sui propri desideri e sulle proprie difficoltà.

E il più delle volte il viaggio da fare per raggiungere questa terra promessa è fatto di discese ripide e arrampicate impervie, battute d’arresto e brusche accelerate. Ci si può sentire confusi e disorientati, oppure in balia di una giostra che gira incessantemente. Si può addirittura sentire di star cominciando a viversi in maniera diversa rispetto a come è accaduto fino a quel momento. Come se ci si stesse conoscendo per la prima volta. Una cosa è certa però: qualunque sia la durata del viaggio, non ne usciremo mai gli stessi.

Un’altra idea comune a molti, legata a quelle appena citate, è che possa esistere un benessere standard, valido a prescindere per tutti, al quale dover necessariamente aderire. Spesso utilizziamo come punto di riferimento, per stabilire questo standard, proprio gli insegnamenti ricevuti da piccoli, i valori che ci sono stati tramandati da chi ci ha cresciuto e ha condiviso un pezzo di vita con noi.

Per quanto un’affermazione del genere possa essere in astratto condivisibile da tanti, e cioè che non è detto che ciò che fa star bene una persona possa automaticamente farne star bene un’altra, in pratica è più difficile sentirsela addosso e metterla in gioco nella vita di tutti i giorni. In altre parole, è più difficile distaccarsi da quell’insieme di regole, il più delle volte non dette esplicitamente, ma sentite a pelle, con cui siamo cresciuti e che raccontano le relazioni che abbiamo avuto in infanzia. È difficile perché ci parlano di noi, ci dicono chi siamo, da dove veniamo, e non è facile per nessuno abbandonare un porto sicuro per entrare in mare aperto, anche se quel porto non è così bello come avremmo desiderato.

Per quanto possa essere in parte poco rassicurante, non credo infatti possa esistere un prontuario del benessere valido per tutti: ognuno ha il compito di trovare la propria personale dimensione dello “star bene”, di intraprendere il proprio cammino, che è unico e irripetibile. Inoltre, ciò che fa star bene oggi non è detto che avrà lo stesso valore tra un anno, due, cinque o dieci. La vita è un continuo flusso in divenire, e anche se non ce ne accorgiamo, non siamo mai gli stessi, nonostante il nostro personale senso di identità “faccia in modo” da darci una, seppur breve, illusione di continuità rispetto a chi siamo, cosa vogliamo e dove vogliamo andare. Il modo in cui mi sento oggi infatti, proviene dall’insieme di esperienze vissute fino a quel momento. La felicità e il benessere di oggi non potranno mai essere gli stessi di ieri. Parafrasando Eraclito infatti, mai ti potrai bagnare due volte nello stesso fiume.

Ecco che il percorso da fare, alla luce di queste considerazioni, assomiglia più ad un viaggio di scoperta di Sé. Ricorda il passo di un esploratore in un territorio sconosciuto, o la traversata di un navigatore che solca le onde del mare, mosso dalla spinta di rispondere a quei perché da cui abbiamo iniziato, prima vissuti come immotivati e delegittimati, e adesso accolti e pronti per essere ascoltati.

Superate le nebbie del giudizio e illuminato il desiderio di percorrere la propria strada, il sentimento con cui si fa spesso i conti è proprio quello di qualcosa che manca, anche senza sapere di preciso che cosa. Che non necessariamente va ricercato al di fuori di noi. Che ha a che fare con dei pezzi di noi da recuperare, da far tornare alla luce.

Un qualcosa che, se coltivato con cura, può trasformarsi in un chi…un nuovo me

Usando le parole di Philip Bromberg: “Quando un paziente porta un sogno in seduta, compito dell’analista è consentire al paziente di portare in seduta il sognatore”.

 

Stefano Giusti

 

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