Inizio questo articolo partendo da una domanda che sempre più spesso mi è capitato di ascoltare da amici e parenti:
“Stefano, ma te cosa pensi quando sei in seduta?”.
E’ una bella domanda, che capisco mi possa essere rivolta, perché spesso lo psicologo viene percepito come una figura distaccata, che ascolta e fa tante domande, ma che dice poco.
Lo psicologo viene spesso inquadrato dai non addetti ai lavori con un alone di mistero e di scetticismo: “chissà cosa pensa…magari si fa solo gli affari suoi”.
Tuttavia è una domanda che lascia intendere anche molta curiosità, e ben venga!
Posso dire che durante un colloquio cerco di usare 2 livelli distinti di ascolto, che comunque si influenzano a vicenda:
- il primo, più puntuale e immediato, che riguarda il contenuto del racconto in senso stretto;
- il secondo, se vogliamo più profondo e globale, che riguarda la comprensione del funzionamento psicologico della persona.
In particolare quando ascolto una persona durante un colloquio:
– Cerco di farmi una idea dell’immagine che la persona ha di sé, cioè di come si vede e di come si percepisce in rapporto agli altri.
Non è così raro (anzi è quasi una regola) nel mio lavoro trovare persone che hanno una percezione negativa di loro stesse, anche se non sempre in maniera pienamente consapevole.
Alcuni esempi possono riguardare la sensazione di non farcela da soli e di sentirsi deboli e incapaci di fronteggiare le sfide della vita, oppure il timore (se non a volte la certezza granitica) di non poter essere amabili, o infine la forte sensazione di essere persone deludenti, mai all’altezza delle proprie e altrui aspettative.
– Cerco di cogliere quali sono le sue paure, i suoi desideri, e provo a chiedermi di quale cambiamento possa aver bisogno per andare avanti.
Mi chiedo come mai non riesce a realizzarsi e a quali problematiche va incontro nel momento in cui prova a farlo.
Cerco quindi di capire cosa la spaventa del cambiamento, nonostante possa raccontarlo come desiderabile.
– Rifletto e provo a fare dei collegamenti tra il problema che mi presenta e l’immagine globale che la persona può avere di sé.
Ad esempio, se una persona mi riporta un conflitto tra il desiderio e la paura di essere indipendente, e nel parlarmi di sé sottolinea la ricorrente sensazione, vissuta sin dall’infanzia, di essere stata chiusa sotto una campana di vetro (protettiva ma limitante allo stesso tempo), una ipotesi che mi posso fare è che se la persona cerca di uscire al di fuori da essa e quindi se cerca di essere indipendente potrebbe sentirsi persa, sola e disorientata.
– Presto molta attenzione anche al modo con cui la persona si racconta, e cioè al cosiddetto linguaggio non verbale. Cerco cioè di fare caso al tono della voce, ai gesti, alla postura, elementi che ritengo utili nella misura in cui possono dare preziose informazioni su come la persona viva il problema che mi sta portando.
Ad esempio se una persona mi racconta di aver avuto un “bel rapporto” con i propri genitori, ma lo esprime attraverso una postura chiusa e dimessa, con un tono di voce rotto e basso, e magari lasciando intravedere qualche lacrima, lo noto e cerco di assicurarmi di aver davvero capito come si sta sentendo quella persona in quel preciso momento rispetto a quel determinato tema.
– Infine, per ultimo punto, ma non per importanza: mi emoziono! Ebbene sì, in seduta ci si emoziona, e si emoziona non solo il paziente ma anche lo psicologo. Più volte mi è capitato di lasciarmi attraversare dal racconto della persona: coinvolgimento, frustrazione, impotenza, commozione, sono alcuni dei vissuti che mi è capitato di sperimentare in seduta.
E se lo ritengo importante per la sua crescita personale e per rafforzare la relazione terapeutica, posso anche decidere di condividere nel qui e ora della seduta le mie sensazioni. Ciò può anche servire per fare collegamenti tra come ci stiamo sentendo entrambi in questo preciso momento della seduta con ciò che la persona può aver provato in altre relazioni della sua vita.
La capacità di empatizzare con i vissuti della persona e di guardare il mondo con i suoi occhi è uno degli strumenti più importanti della cassetta degli attrezzi di uno psicologo.